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Temperatura sul posto di lavoro e valutazione del rischio

Esiste una normativa che indichi le temperature minime e massime sul posto di lavoro o ci si deve rimettere al “buon cuore” dell’imprenditore?

Il caldo tropicale di questi giorni sta mettendo a dura prova quei lavoratori che svolgono le proprie mansioni all’aperto sotto il sole, o in locali chiusi dove la temperatura soprattutto per le lavorazioni in corso può superare di molto i 40 gradi centigradi.

Non sono mancate, per questi motivi, polemiche e proteste per le insopportabili condizioni di lavoro a cui sono sottoposti moltissimi lavoratori. Numerose, infatti, sono state le sanzioni comminate per violazione della normativa prevenzionale e per la mancata valutazione del rischio, con chiamata in causa dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione.

In materia, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, è più volte intervenuta “ ricordando” che nei confronti del datore di lavoro esiste un preciso obbligo di tutelare la salute psico-fisica dei prestatori di lavoro e di assicurare che i locali ove si svolgono le lavorazioni debbano essere salubri, privi di sbalzi di temperature e non eccessivamente caldi  o freddi.

Il datore di lavoro, infatti, e’ obbligato ex articolo 2087 c.c., ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro   e di assicurare che i locali  dell’azienda siano in condizioni tali da permettere agli stessi di adempiere le prestazioni contrattuali cui sono obbligati, non subendo nocumento alla propria salute.

I giudici, inoltre, hanno precisato che nel caso in cui si prospetti la violazione di tale obbligo, che grava sul datore di lavoro, la controparte contrattuale (il lavoratore) è legittimato a non eseguire la propria prestazione eccependo l’inadempimento mantenendo, al tempo stesso,il diritto alla retribuzione, in quanto al lavoratore non possono derivare conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore di lavoro.

Eppure, la normativa prevenzionale (D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81) non fissa in modo analitico i valori di temperatura nei luoghi di lavoro, limitandosi all’allegato IV – requisititi dei luoghi di lavoro – punto 1.9 , ad indicare che “la temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori” e che ogni persona deve poter  disporre di “almeno 10 m.cubi di aria respirabile e rinnovata”.

I professionisti della valutazione del rischio, per trovare indicazioni più precise, a cui ispirarsi, possono fare riferimento ad altre norme di rango secondario. Una di queste, in vigore già da molti anni, è sicuramente la Delibera n. 1887 del 27 maggio 1997 della Regione Veneto – Revisione circolare regionale n. 38/87 “Criteri generali di valutazione dei nuovi insediamento produttivi e del terziario”.
La temperatura e l’umidità relativa dell’aria debbono essere mantenute entro i seguenti limiti:

  • nei periodi in cui non è necessaria la refrigerazione dell’aria: temperature interne 16-18 C; umidità relativa compresa tra il 40 ed il 60%;
  • nei periodi in cui è necessaria la refrigerazione dell’aria: la differenza di temperatura fra l’esterno e l’interno non deve superare il valore di 7 C; l’umidità relativa deveessere compresa fra il 40 ed il 50%.

Nei locali di lavoro devono essere garantite condizioni microclimatiche confortevoli, in relazione all’attività svolta. Per attività lavorative manuali a basso dispendio energetico si ritiene adeguata una temperatura di almeno 16 gradi C. Qualora non sia possibile un riscaldamento generalizzato dell’ambiente dovrà almeno assicurarsi il riscaldamento localizzato dei posti fissi di lavoro. (Per riferimenti tecnici v. norme ISO e ASHRAE).
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