In materia di corsi di formazione lavoratori, il tempo massimo consentito di assenza dal corso non è…
LA FORMAZIONE, IL COVID19…. E L’ARRETRATEZZA DI ALCUNE REGIONI
In materia di formazione per la salute e sicurezza sul lavoro, in questo periodo di pandemia Covid-19, non possiamo che registrare l’arretratezza culturale di alcune regioni e ancor peggio la colposa mancanza di indicazioni da parte della “Conferenza delle regioni”
La grave situazione emergenziale determinata dalla diffusione pandemica del COVID 19 ha reso necessaria l’adozione di misure per la gestione e il contenimento dell’epidemia nei diversi campi sia produttivi che formativi, con il ricorso a provvedimenti che risentono inevitabilmente della loro natura emergenziale.
L’assenza di linee guida sufficientemente chiare, tassative ed omogenee su tutto il territorio nazionale, che dovevano (e dovrebbero) promanare dalla Conferenza Stato-Regioni, sta lasciando libero sfogo ai pregiudizi e alle resistenze culturali da parte di alcune regioni riguardo l’efficacia degli strumenti tecnologici.
La conseguenza più diretta è rappresentata dalla confusione che aleggia in questo ambito, soprattutto con riferimento alla validità giuridica della formazione erogata in videoconferenza, con grave pregiudizio nei confronti dei professionisti abilitati, delle imprese e dei lavoratori
A dirla tutta un piccolo segnale di esistenza in vita la Conferenza delle regioni e delle province autonome, lo ha recentemente lanciato in materia di pianificazione della formazione a distanza nei percorsi formativi obbligatori per l’ accesso alle professioni e/o ad attività economiche e/o professionali regolamentate, la cui formazione è in capo alle Regioni e Province Autonome.
Per il resto, si registrano da una lato le convergenti ed apprezzabili posizioni delle regioni Lazio , Piemonte e Veneto che prevedono espressamente la possibilità di ricorrere a forme più diffuse di “formazione a distanza”.
Dall’altro la solita contrapposta decisione della regione Sicilia di negare ogni possibilità di ricorrervi al di fuori dei casi già regolamentati in conferenza Stato-regioni ( in relazione alla formazione specifica lavoratori rischio medio, specifica lavoratori rischio alto, RSPP DDL rischio alto,medio,basso.
La posizione “negazionista” della regione Sicilia è, a mio avviso, sbagliata nel merito e non conforme alle indicazioni che comunque provengono dai diversi decreti legge ed accordi tra le parti sociali intervenuti in questi ultimi due mesi, aventi, tra l’altro, maggiore rilevo in termini di gerarchia delle norme.
Proverò a fare un po’ di chiarezza partendo dal protocollo del 14 marzo 2020 che, pur non avendo alcun carattere di obbligatorietà, è stato recepito comunque descrive un percorso condiviso dal governo e dalle maggiori rappresentanze sindacali datoriali e dei lavoratori e comunque recepito nel DPCM 10 aprile 2020, n. all’art. 2, comma 10
Per quanto di interesse, esso prescrive che :
“ Il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di saluta e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all’emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comparta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione…
A ciò si aggiunga che il D.L. 7 marzo 2020, nr. 18 c.d. “cura Italia”, all’art. 103, c. 2 prevede che:
“Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020.”.
Ne consegue che la mancata effettuazione dell’aggiornamento non preclude lo svolgimento dell’attività lavorativa, tenuto conto che l’aggiornamento dovrà essere completato, al termine dell’emergenza, come da modalità stabilite dalla disciplina di riferimento.
La ratio delle disposizioni sopra esposte e di quelle che hanno obbligato le aziende e gli uffici pubblici a ricorrere allo ” smart working” e le scuole alla formazione a distanza è quella, in buona sostanza, di evitare “eventi, riunioni – compresa la formazione – che comportino la presenza fisica delle persone all’interno delle aziende o in aule didattiche..”, con la naturale conseguenza che l’attività di formazione prevista dal D.lgs. 81/08 dovrà essere assicurata, nella misura più estesa possibile, in remoto.
Si tratta, a ben vedere, di una sfida all’insegna dell’innovazione tecnologica che ci viene lanciata nell’ambito di uno scenario pandemico certamente non previsto, ma che ci offre l’opportunità di sfruttare al massimo la nostra capacità di resilienza, trasformando una criticità in un’opportunità.
Senza peraltro rinunciare ai principi cardine che sorreggono la formazione in un ambito delicatissimo qual è quello di cui ci occupiamo.
Ed è esattamente ciò che ha fatto la regione Veneto, prevedendo che la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza sia applicabile anche alla formazione obbligatoria prevista dall’articolo 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e disciplinata dagli Accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Ovviamente ha anche prescritto che:
“..fino al termine dell’emergenza, l’eventuale formazione a distanza effettuata mediante collegamento telematico in videoconferenza tale da assicurare l’interazione tra docente e discenti (ciascuno in solitaria, essendo esclusa qualsiasi forma di aggregazione in tale ambito) si ritiene equiparata a tutti gli effetti alla formazione in presenza. Con queste modalità, la registrazione delle presenze in entrata e uscita avverrà mediante registro elettronico o sotto la responsabilità del docente, così come l’effettuazione del test finale di apprendimento, ove previsto.”
Appare finanche superfluo sottolineare che resta fuori da questo ambito qualunque modulo formativo che preveda un addestramento pratico che dovrà essere effettuato in presenza, nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale e sull’uso dei DPI che saranno ulteriormente dettagliate nei prossimi giorni e che varranno dal 4 maggio in poi.
Sulla stessa lunghezza d’onda si è recentemente mossa anche la regione Lazio, stabilendo che tali attività devono essere organizzate prevedendo orari precisi di inizio e fine evento e consentendo il tracciamento delle persone loggate nella piattaforma.
In buona sostanza nulla impedisce la piena equiparazione tra la formazione erogata in video-conferenza sincrona con quella di tipo classico in presenza.
Le aule virtuali possono tranquillamente essere contingentate come accade per quelle residenziali, le presenze possono essere attestate senza possibilità di equivoco, i programmi sono gli stessi, c’è possibilità di interazione “dal vivo” tra docente e discente grazie alla videocamera e al microfono, non vi è alcun problema nella predisposizione dei test di apprendimento e nella loro acquisizione e valutazione.
Insomma, la tecnologia ci consente di “certificare” la sufficienza ed adeguatezza della formazione anche con procedure remotizzate, peraltro già previste ed utilizzate, seppur in forma minore, prima che scoppiasse l’emergenza Covid19.
In altre parole, non vi è esigenza tecnico-formativa che non possa essere garantita da una moderna piattaforma digitale per l’erogazione di formazione a distanza e da un software per la completa gestione delle attività formative previste dal d. lgs. 81/08, come quella di cui, ad esempio, dispone già da tempo AIFES.
La formazione, pertanto, potrà essere rigidamente organizzata secondo calendari opportunamente comunicati agli organi ispettivi, i corsi potranno essere ispezionabili da remoto grazie ad un web link ed eventuali credenziali per poter accedere da remoto alla classe virtuale, il registro delle presenze sarà sempre disponibile on-line.
Insomma, l’unico limite difficile da superare è l’ignoranza di chi ha compiti di responsabilità e il pregiudizio, non sempre disinteressato, di chi si oppone acriticamente a queste innovazioni.
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