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USO ATTREZZATURE: NESSUNA SANZIONE PER IL DATORE DI LAVORO NON FORMATO?
Uso delle attrezzature: il curioso parere della Commissione interpelli rischia di aprire scenari imprevedibili potendo indurre in errore datori di lavoro ed organi di vigilanza
In materia di obblighi formativi sull’uso delle attrezzature, anche da parte del datore di lavoro, la Commissione Interpelli, costituita presso il Ministero del lavoro, ha licenziato un parere a dir poco discutibile.
Benché sia passato indenne al giudizio dei numerosi addetti ai lavori, una lettura più attenta del parere, potrebbe rivelare una elevata” pericolosità” per la capacità di indurre in errore non solo i datori di lavoro interessati ma finanche gli organi di vigilanza
La questione invece non è sfuggita al mio amico Antonio Scolletta, funzionario della polizia di Stato, che ha voluto esprimermi il proprio parere e le proprie preoccupazioni, pienamente condivise.
Interpello 1/2020: “il fatto non costituisce reato” (??)
Prima di sviluppare un’analisi critica del “debordante” interpello nr. 1/2020 recentemente pubblicato dalla competente Commissione del Ministero del Lavoro, è necessario richiamare alcuni essenziali riferimenti normativi.
Come noto l’art. 71, co. 7, lettera a) del d.lgs. 81/08 sancisce che “qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati.”
Tale formazione, in relazione a quanto disposto dall’art. 73, comma 4, per le attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari, ha caratteristiche “tali da consentire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che possano essere causati ad altre persone.”
Allo scopo di completare la funzione prevenzionistica in tale ambito il legislatore, con il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, ha ritenuto di modificare l’art. 69, co. 1, lett. e) del Testo Unico, prevedendo esplicitamente che anche il datore di lavoro che utilizza le attrezzature di cui al comma 4 dell’art. 73 è considerato operatore e in quanto tale deve essere formato e abilitato al loro utilizzo.
La ratio della norma è quella di estendere, completandola, la difesa del bene giuridico rappresentato dalla tutela dell’incolumità propria e quella di terzi.
La naturale conseguenza di questa espressa previsione di legge dovrebbe essere l’estensione, nel senso sotto specificato,della fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 87 del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 che, al comma 2, lettera c), stabilisce che il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la pena dell’arresto da tre a seimesi o con l’ammenda da 2.740 a 7.014,40 euro per la violazione dell’articolo 71, commi 1, 2, 4, 7 e 8.
In altre parole, la pena prevista dal citato art. 87 dovrebbe punire il datore di lavoro sia nel caso in cui abbia omesso di formare il lavoratore che utilizza le attrezzature di cui all’art. 73, sia nel caso in cui le predette attrezzature siano usate dallo stesso datore di lavoro.
La Commissione per gli interpelli, però, è stata di tutt’altro avviso.
Con interpello nr. 1/2020, ha ritenuto che a far data dall’entrata in vigore del citato decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 << …sia vietato l’utilizzo di qualsiasi attrezzatura di lavoro, per la quale è prevista una specifica abilitazione, da parte di qualsiasi “operatore”, compreso il datore di lavoro che ne sia privo. Tuttavia, fatta salva l’applicazione alle singole fattispecie concrete di diverse disposizioni sanzionatorie previste dalla normativa vigente, la Commissione ritiene – sulla base del principio di tipicità che regola il sistema penale – che l’ambito di operatività del sopra citato articolo 87, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 81/2008 debba essere circoscritto alle fattispecie in esso previste, pertanto le relative sanzioni non possono essere applicate qualora tali attrezzature siano utilizzate dal datore di lavoro.>>
La conclusione alla quale è pervenuta la Commissione è assai discutibile sia sul piano logico che su quello più strettamente giuridico, soprattutto se consideriamo la ratio alla quale essa ha agganciato il proprio parere e cioè un “malinteso” e “male-interpretato” principio di tipicità della norma penale.
Allora: senza disturbare giuristi e costituzionalisti, proviamo a circoscrivere il principio di tipicità o di stretta legalità della norma penale, richiamato dalla Commissione per escludere la penale responsabilità del datore di lavoro.
Prendiamo in prestito la definizione che ne dà wikipedia: il principio di tipicità , anche definito come divieto di analogia, indica il fatto che la norma penale (dal contenuto astratto e generale ndr) si applica unicamente agli accadimenti reali che effettivamente si riconnettono alla fattispecie astratta, senza che si possa ricorrere al principio di analogia.
In altre parole il divieto di analogia opera solo con riferimento “ai fatti/comportamenti” che, per essere penalmente rilevanti e quindi punibili, devono essere stati preventivamente codificati da una norma penale che deve rispondere non solo al cennato principio di tipicità ma anche di tassatività.
Anche in questo caso ci facciamo aiutare da wikipedia:
- << il principio di tassatività della norma impone al legislatore l’obbligo di scrivere le fattispecie sanzionate penalmente in modo sufficientemente preciso, in modo da consentire al cittadino di conoscere esattamente quali sono i comportamenti vietati o gli obblighi di legge e le relative sanzioni previste per le trasgressioni a tali divieti od obblighi;
- Garantire al cittadino di non restare vittima di abusi del potere giudiziario cui, diversamente, resterebbe affidato il compito di stabilire, a fatto ormai commesso, un nuovo divieto e l’applicabilità di una sanzione;
- assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa che diversamente risulterebbe menomato a causa dell’indeterminatezza del confine tra ciò che è lecito e ciò che invece è vietato e penalmente sanzionato.>>
Tali principi di legalità e determinatezza sono stati ribaditi dalla corte costituzionale che, con l’ordinanza n. 24/2017, ha statuito che
<< .. Le norme del diritto penale sostanziale “devono essere formulate in termini chiari, precisi e stringenti, sia allo scopo di consentire alle persone di conoscere quali possano essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale, sia allo scopo di impedire l ’arbitrio applicativo del giudice” .
Se a questo aggiungiamo anche la necessità/opportunità di “leggere” le norme prese in esame dalla Commissione ( in particolare gli artt. 71 e 87 del testo unico 81/08) in combinato disposto con l’art. 1 lett. f) della legge 10 dicembre 2014, nr. 183 – che, tra i principi ai quali il legislatore delegato deve attenersi, indica la << revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale>> – il quadro appare perfettamente delineato
In altre parole non v’è chi non veda che l’aver modificato l’art. 69 del d. lgs.81/08 inserendo nella definizione di operatore anche il datore di lavoro, rende quest’ultimo perfettamente edotto sia sugli obblighi di specifica formazione che incombono su di lui in caso di un suo personale utilizzo di particolari attrezzature, sia sulle conseguenze penali a cui va incontro in caso di loro inosservanza di tali obblighi di formazione.
Al riguardo non ci sembra superfluo, inoltre, richiamare anche la sentenza della corte costituzionale nr. 172 del 2014 nella quale, tra l’altro, si afferma che <<.. deve rammentarsi come spetti al giudice ricostruire e circoscrivere l’area di tipicità della condotta penalmente rilevante sulla base dei consueti criteri ermeneutici, in particolare alla luce del principio di offensività, che per giurisprudenza costante di questa Corte costituisce canone interpretativo unanimemente accettato”.
L’analisi della norma penale in questione, poi, ci pare che consenta di affermare che essa risponda agevolmente ai principi di tassatività e determinatezza del precetto penale che, come sancito dalla Corte Costituzionale, deve assicurare “i due obiettivi fondamentali: per un verso, nell’evitare che il giudice ….. assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito e, per altro verso, nel garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta” (Cfr. sentenza corte costituzionale nr. 327 del 2008).
In considerazione di quanto precede si può pacificamente concludere che il parere della Commissione per gli interpelli, escludendo l’applicabilità della norma a contenuto penalistico (art. 87 c. 2 in relazione all’ar.71 d.lgs. 81/08) sia da considerare, icto oculi, “debordante” rispetto alle prerogative ad essa riconosciute, atteso che :
spetta al giudice di merito ricostruire e circoscrivere l’area di tipicità della condotta penalmente rilevante e alla suprema corte di cassazione la funzione nomofilattica, cioè quella di assicurare l’esatta ed uniforme interpretazione ed osservanza delle leggi nelle decisioni dei giudici.
Concludo con un appello
Sarebbe auspicabile un approccio più prudente alla delicata questione posta dalla regione Friuli Venezia Giulia, anche allo scopo di scongiurare ipotesi di responsabilità penale a carico degli ispettori che, in perfetta aderenza al parere compendiato nell’interpello 1/2020, dovessero essere chiamati a rispondere di “omessa denuncia di reato” nel caso in cui, nel corso di una ispezione sul luogo di lavoro, dovessero riscontrare che il datore di lavoro utilizzi lui stesso le attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari senza la necessaria formazione e non lo dovessero deferire alla competente A.G., ai sensi e per gli effetti di cui all’all’art. 87 comma 2, lettera c), del d. lgs. 81/08, in riferimento alla violazione di cui all’art. 71, comma 7, lettera a).
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